Lupe, aquile e asinelli. Zebre, diavoli e
grifoni. Riaprono i botteghini dello zoo di Eupalla, "divinità benevola
che assiste pazientemente alle goffe scarponerie dei bipedi" (G. Brera).
Oggi riparte il campionato, dopo una lunga,
finta ed estenuante campagna acquisti - asfissiante come il clima dell’estate –
che ha tenuto, e ancora per qualche giorno tiene, in ansia milioni di tifosi, a
rischio disturbo bipolare, fra speranze vive e cocenti delusioni.
Dichiarazioni, “concrete trattative”,
titoli a caratteri cubitali, ingaggi e annunci clamorosi, smentite e fandonie -
un giorno si e l’altro pure - hanno fatto vendere giornali e chiacchierare
sotto gli ombrelloni, nella popolare commedia dell’arte e dei mestieri, che
ogni anno si tiene in cartellone.
Come sempre, in programma il solito valzer
dei migranti allenatori che, danzando con disinvoltura e rinnovato ardore,
rinnovano panchina e presidente. E lanciano proclami e strategie che infiammano
la piazza, appena conquistata.
Piccole e grandi star del dio pallone,
giovani promesse e anche maturi calciatori, senza mai perder di vista il
portafoglio ed il prestigio – alla cui tutela pensano generosi e interessati
agenti e prezzolati mediatori – cambiano casa, casacca e colori e lasciano gli
stadi che tanto li avevano osannati: “Ringrazio la società e tutti i tifosi…qui
sono stato bene…e mai dimenticherò…!
E’ prassi prevista nel copione. Come,
peraltro, un filo di commozione che non guasta.
Ormai, son tutti amori stagionali, flirt da
una botta e via e…avanti un altro beniamino. Di fama, di grido, sconosciuto,
riciclato o scoperto e catturato dagli osservatori esperti, che forse….
“ballerà un solo inverno”.
Le società, sempre più avide, asettiche e
pragmatiche, guardano agli aridi bilanci che non prevedono simboli e bandiere,
né grandi amori alla “via col vento”. Sceicchi, magnati e novelli paperoni sono
sempre e solo nel mercato e investono milioni, comprando a uno e rivendendo a
dieci: brocchi veraci o autentici
talenti, non fa alcuna differenza.
E, col prezioso contributo di stampa, di
radio e di Tv, locali e nazionali, incoraggiano queste passioni occasionali
“usa e getta”, che in un istante
edificano un mito e poco dopo sono costrette a rinnegarlo. In ossequio alla
sovranità delle schizofreniche leggi del profitto che demoliscono ogni parvenza
di umani sentimenti e non lasciano spazio alla nostalgia.
Tutto, e non lo scopro certo io, è ridotto
a merce: la maglia, la fede ed i colori, ed anche i giocatori. Si importano, si
esportano, si scambiano, si vendono, si comprano e si prestano al nemico. E si
amano nel breve lampo di un sospiro!
Sulle passerelle del fine settimana, degli
anticipi e posticipi e dei turni infrasettimanali - tutto sconvolto e diluito
per esigenze commerciali e diritti televisivi di network e pay-tv - non va più in onda “la partita di pallone”
che cantava Rita Pavone o Isa Di Marzio nella sua mitica: “io so’ Orazio
Pennacchioni e so’ contento, so’ tifoso della Roma e me ne vanto…!” (Campo
de’Fiori, trasmissione radio anni ‘60).
Anche l’atteso rito domenicale dello
stadio, più sacro quasi della Messa dei cristiani, del pranzo anticipato, della
comitiva di amici che si incontrava al bar con bandiere e radioline (per
sentire Ameri, Ciotti e i risultati “minuto per minuto”) hanno dovuto cedere
agli obblighi di sponsor e palinsesti. E oggi si ritrovano solo nel museo dei
ricordi personali o nei film in bianco e nero di quegli anni.
Non va più in onda lo sport, l’agonismo e
la palpitazione. Negli stadi, sempre meno frequentati, e alla TV si giocano
partite sempre più virtuali e gli atleti in campo, nuovi idoli dell’era digitale che twittano e postano sui
social, son come figurine animate dei giochi alla play-station o santini incorniciati negli album della storica
Panini.
Una volta, quando tutto era semplice e
banale, si imparava il calcio e la lealtà sportiva nella parrocchia e nei
campetti di periferia, a suon di calci, di corse e di sudore e di ginocchia
sbucciate e vilipese. E si cresceva nel mondo del reale e dei valori.
E non c’erano le docce e l’acqua calda.
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