giovedì 11 settembre 2014

NON SI PUO' DIMENTICARE



Sicuramente, oggi, tutti i mezzi d’informazione rievocheranno la tragedia delle Torri Gemelle del 2001, come accade di consueto nella ricorrenza dell’11 settembre, ma non dedicheranno alcuna attenzione al ricordo della morte del presidente cileno Allende e alla democrazia di quel Paese.

Non tutti sanno o ricordano che prima di quella data, ci fu un altro terrificante 11 settembre: quello del 1973, quando in Cile ci fu il colpo di stato, organizzato dalle forze armate e appoggiato dagli Stati Uniti, dalla CIA, dalla destra e dagli imprenditori cileni, in cui fu ucciso il presidente socialista Salvador Allende e mandò al potere il generale Augusto Pinochet, che instaurò in Cile una dittatura militare, tra le più sanguinarie e repressiva del XX secolo, durata 18 anni.


La morte avvenne in circostanze drammatiche: Allende fu crivellato di proiettili dai militari nel palazzo presidenziale di Santiago. Migliaia di connazionali furono
ammazzati, o imprigionati e torturati.
Al largo della costa cilena, c’erano le navi americane e la città era piena di spie al servizio di Nixon e Kissinger, e di collaborazionisti vari. Furono in tanti ad avere la coscienza sporca quel giorno. 
“Raccontate questa storia, ce ne sarà bisogno”, disse Allende in punto di morte per convincere i suoi fedeli a scappare e a salvarsi. 

Regolarmente eletto Presidente della Repubblica nel settembre del 1970, in seguito a libere elezioni, a capo dello schieramento di sinistra denominato “Unidad Popular”, il suo governo fece grandi riforme in favore dei più poveri e deboli. 
Allende, in pochi anni, nazionalizzò le ricchezze fondamentali del Paese, a cominciare dal rame in possesso dei monopoli nordamericani; abolì il latifondo; sottrasse alla proprietà capitalista che controllava i settori strategici dell’economia (elettricità, telefonia, trasporti, banche) il potere di determinare le condizioni di esistenza delle classi popolari e subalterne.

Stati Uniti e classi cilene privilegiate reagirono in modo estremamente pesante e violento. 
Misure e operazioni di ogni genere (economiche, finanziarie, boicottaggi, scioperi a catena dei trasportatori, campagne di stampa, terrorismo di gruppi paramilitari fascisti) furono messe in atto per strangolare il governo di sinistra che stava trasformando il sistema economico e sociale del Paese.
Fino al punto che “il capitale straniero, l’imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinchè le Forze Armate rompessero la tradizione democratica”, come disse lo stesso Allende nell’ultimo discorso alla Radio, poco dopo l’inizio della battaglia. 

Col golpe realizzato dal fascista Pinochet e orchestrato dal vertice stesso dell’establishment americana, ebbe fine l’esperienza cilena di transizione al socialismo per via pacifica e democratica. Fu un colpo durissimo per milioni di uomini e donne delle classi popolari in Cile. Ma non solo.
Quell’esperienza di democrazia e socialismo era seguita con simpatia e speranza in varie altre parti del mondo e la sua avanzata avrebbe contribuito a un nuovo corso progressista in altri Paesi.
Una vera tragedia di carattere mondiale e personale, forse meno “spettacolare” di quella delle Torri americane - anche perché, all’epoca, non documentata in diretta TV - che ebbe  un significato storico  e un ruolo devastante su molti giovani rivoluzionari ed idealisti.

In me, giovane militare di leva di 26 anni, dopo gli studi - con moglie e figlia a carico - fu un momento sconvolgente, di grande sconforto e di dolore, che lasciò un  segno indelebile nella mia formazione politico-culturale, rinforzando l’idea della pace, del socialismo, dell’antifascismo e l’avversione a ogni forma di violenza e di sopraffazione. 

“Sono pronto a resistere con ogni mezzo, anche a costo della vita, in modo che ciò possa costituire una lezione nella storia ignominosa di coloro che hanno la forza ma non la ragione.” (S. Allende)

Per la cronaca, in quell’anno 1973, mentre Pinochet bombardava e assaltava La Moneda, il palazzo presidenziale di Santiago, con il beneplacito e l’appoggio incondizionato degli Stati Uniti, lo stesso Kissinger  veniva insignito del premio Nobel per la pace.

Per tutto questo, abbiamo l’obbligo di ricordarlo, a 41 anni di distanza.

11 settembre 2014     (Alfredo Laurano)                                    
                                                                

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