Sicuramente, oggi, tutti i mezzi
d’informazione rievocheranno la tragedia delle Torri Gemelle del 2001, come
accade di consueto nella ricorrenza dell’11 settembre, ma non dedicheranno
alcuna attenzione al ricordo della morte del presidente cileno Allende e alla
democrazia di quel Paese.
Non
tutti sanno o ricordano che prima di quella data, ci fu un altro terrificante
11 settembre: quello del 1973, quando in Cile ci fu il colpo di stato, organizzato
dalle forze armate e appoggiato dagli Stati Uniti, dalla CIA, dalla destra e
dagli imprenditori cileni, in cui fu ucciso il presidente socialista Salvador
Allende e mandò al potere il generale Augusto Pinochet, che instaurò in Cile
una dittatura militare, tra le più sanguinarie e repressiva del XX secolo, durata 18 anni.
La morte avvenne in circostanze
drammatiche: Allende fu crivellato di proiettili dai militari nel palazzo presidenziale
di Santiago. Migliaia di connazionali furono
ammazzati, o imprigionati e torturati.
ammazzati, o imprigionati e torturati.
Al largo della costa cilena, c’erano le
navi americane e la città era piena di spie al servizio di Nixon e Kissinger, e
di collaborazionisti vari. Furono in tanti ad avere la coscienza sporca quel
giorno.
“Raccontate
questa storia, ce ne sarà bisogno”, disse Allende in punto di morte per
convincere i suoi fedeli a scappare e a salvarsi.
Regolarmente eletto Presidente della Repubblica
nel settembre del 1970, in seguito a libere elezioni, a capo dello schieramento
di sinistra denominato “Unidad Popular”, il suo governo fece grandi riforme in
favore dei più poveri e deboli.
Allende, in pochi anni, nazionalizzò le
ricchezze fondamentali del Paese, a cominciare dal rame in possesso dei monopoli
nordamericani; abolì il latifondo; sottrasse alla proprietà capitalista che
controllava i settori strategici dell’economia (elettricità, telefonia,
trasporti, banche) il potere di determinare le condizioni di esistenza delle
classi popolari e subalterne.
Stati Uniti e classi cilene privilegiate
reagirono in modo estremamente pesante e violento.
Misure e operazioni di ogni
genere (economiche, finanziarie, boicottaggi, scioperi a catena dei
trasportatori, campagne di stampa, terrorismo di gruppi paramilitari fascisti)
furono messe in atto per strangolare il governo di sinistra che stava
trasformando il sistema economico e sociale del Paese.
Fino al punto che “il capitale straniero,
l’imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinchè le Forze Armate
rompessero la tradizione democratica”, come disse lo stesso Allende nell’ultimo
discorso alla Radio, poco dopo l’inizio della battaglia.
Col golpe realizzato dal fascista Pinochet
e orchestrato dal vertice stesso dell’establishment americana, ebbe fine
l’esperienza cilena di transizione al socialismo per via pacifica e
democratica. Fu un colpo durissimo per milioni di uomini e donne delle classi
popolari in Cile. Ma non solo.
Quell’esperienza di democrazia e socialismo
era seguita con simpatia e speranza in varie altre parti del mondo e la sua
avanzata avrebbe contribuito a un nuovo corso progressista in altri Paesi.
Una vera tragedia di carattere mondiale e
personale, forse meno “spettacolare” di quella delle Torri americane - anche perché,
all’epoca, non documentata in diretta TV - che ebbe un significato storico e un ruolo devastante su molti giovani rivoluzionari
ed idealisti.
In
me, giovane militare di leva di 26 anni, dopo gli studi - con moglie e figlia a
carico - fu un momento sconvolgente, di grande sconforto e di dolore, che
lasciò un segno indelebile nella mia
formazione politico-culturale, rinforzando l’idea della pace, del socialismo, dell’antifascismo
e l’avversione a ogni forma di violenza e di sopraffazione.
“Sono pronto a resistere con ogni mezzo,
anche a costo della vita, in modo che ciò possa costituire una lezione nella
storia ignominosa di coloro che hanno la forza ma non la ragione.” (S. Allende)
Per la cronaca, in quell’anno 1973, mentre Pinochet bombardava e assaltava La Moneda, il palazzo presidenziale di Santiago, con il beneplacito e l’appoggio incondizionato degli Stati Uniti, lo stesso Kissinger veniva insignito del premio Nobel per la pace.
Per tutto questo, abbiamo l’obbligo di
ricordarlo, a 41 anni di distanza.
11 settembre 2014 (Alfredo Laurano)
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