Secondo un recente studio, Facebook, fondato
nel 2004 a Harvard (USA) da Mark Zuckerberg e da alcuni suoi compagni di università,
manipola le emozioni di oltre un miliardo e centomila suoi utenti.
Le emozioni dei nostri amici, espresse
attraverso post, foto, slogan e articoli che la bacheca sceglie di mostrarci in
base a raffinati algoritmi, sono contagiose e influenzano in maniera
significativa quello che poi pubblicheremo noi sul social network.
In qualche modo, quindi, i sentimenti -
o quanto meno le attitudini positive e negative - tendono a
propagarsi, di conseguenza, in un gioco di reciproche influenze.
L'indagine è un'ulteriore testimonianza delle
possibilità manipolatrici di quei sistemi: non solo acquisti, marketing e
pubblicità ma, dunque, anche gestione delle emozioni.
Manipolazioni o meno, Facebook non è solo un mouse o una tastiera, un diario, un
blog, un telefono, un album di fotografie da mostrare o un tavolo virtuale intorno
al quale discutere di calcio o di politica.
O un ricco giardino da curare, coltivare
e sempre aperto a un selezionato pubblico.
E’ uno strumento per scrivere, pensare,
organizzare, condividere, raccontare e comunicare, Non è necessario, ma facilita il dialogo,
lo scambio, la conoscenza, le amicizie e le passioni.
E’ come stare sempre in diretta, come avere
una telecamera accesa 24 ore al giorno in casa. O come andare al bar,
leggere il giornale o discutere con gli altri clienti!
Non va, quindi, né demonizzato, né
divinizzato.
E’ solo un social network e la colpa di
certi eccessi è di chi lo utilizza in modo improprio o pericoloso.
Oggi, l'eccesso di comunicazione in tempo
reale ci dà l'illusione di una vicinanza virtuale.
Nella quotidianità telematica e digitale, abbiamo perso, forse, il senso e il rispetto della misura, del tempo adeguato, della "giusta riservatezza e discrezionalità" da osservare, prima di entrare in stretto contatto e in rapporto con altri esseri umani.
Nella quotidianità telematica e digitale, abbiamo perso, forse, il senso e il rispetto della misura, del tempo adeguato, della "giusta riservatezza e discrezionalità" da osservare, prima di entrare in stretto contatto e in rapporto con altri esseri umani.
Tutti iper-connessi e sempre raggiungibili
on line: ciascuno di noi si sente esageratamente vicino a tutti, mentre, in
realtà, ne è concretamente ben lontano.
L'amicizia, le conoscenze, gli amori, le
discussioni, anche riservate, le belle e le brutte parole e tutti i nostri più
intimi pensieri e sentimenti sono diventati globali, alla portata di tutti con
un semplice clic.
Un veloce "mi piace" apre la confidenza e annulla di colpo tutte le
distanze.
Non c'è più il tempo e la voglia di
riflettere e valutare, né la possibilità di maturare - come accadeva una volta -
le più oculate scelte intime, elettive, affettive e confidenziali.
Questa forma “antica” di approfondimento è
scomparsa per sempre!
Si confermano amicizie casualmente
richieste, si intrecciano contatti espansivi e conviviali di ogni peso e misura,
nonché corrispondenze, anche molto personali, con scambio di fotografie proprie
e di famiglia.
Si inviano saluti con tanto di baci, di stima e di affetto
finali, senza nulla lesinare, a persone, peraltro, ignote o solo virtualmente
conosciute. Sempre con un semplice clic sulla tastiera!
Ciò avviene, soprattutto a livello
giovanile, in particolare, con la generazione di quelli nati con Internet e con
tutta la nuova tecnologia, che vengono definiti “nativi digitali”, contro i “semi-analfabeti
digitali”, di seconda e terza età, come il sottoscritto.
Ma si pubblicano anche clip e video molto privati,
battute di scherno e di dileggio; si ostentano improbabili virtù, manie di esibizionismo
e false identità (fake); si realizzano varie azioni di stalking, sotto forma di
persecuzioni, ricatti e minacce, più o meno velate o palesi e, ancora, conflitti
esistenziali, pene d’amore, insulti ad oltranza, giudizi sprezzanti e sommari.
A volte, si configura una vera istigazione
alla violenza e contro la persona, con conseguenze pericolose e drammatiche - ansia,
stress, depressione, forte tensione psico-emotiva, idee suicidarie - sulle
personalità più fragili e insicure.
Discorso a parte merita l’uso e l’abuso
della comunicazione mediale a scopi illegali, sessuali, commerciali e
fraudolenti.
Come è lontano il tempo in cui nei rapporti
di amicizia e sentimentali, ma anche nei confronti dei propri genitori, delle
persone sconosciute, degli anziani, degli insegnanti o di personaggi autorevoli
si osservava la massima considerazione, prima di ogni timido e graduale
abbandono informale, poco meno che deferente!
Una mentalità, quasi istituzionalmente codificata,
sentita come necessità propedeutica al modello etico, sociale e pedagogico di
riferimento in quel relativo tempo storico (poco più di una generazione fa).
Con l'annullamento delle barriere
spazio-temporali sul Web, quella vicinanza umana indotta dalla costante
navigazione in rete rischia di trasformarsi in pura ressa dialettica,
sovrapponibile e molto uniformata nei comportamenti, nelle abitudini standard e
nelle scelte più convenzionali, secondo un comune e scontato stereotipo,
largamente condiviso.
Nell'operare quotidiano è sempre più
difficile restare autonomi, difendersi e resistere al nuovo conformismo digitale
e all'omologazione della impersonalità.
La società digitale contemporanea al tempo
di Facebook e di Twitter non riconosce i concreti rapporti e la vera amicizia, anzi,
tende a calpestare, indistintamente, la peculiarità, la specificità, l'intimità
di ciascuno.
La tecnologia è intesa a migliorare la
vita di tutti i giorni, ma deve essere usata in maniera intelligente, altrimenti
diventa solo un peso o, a volte, addirittura una schiavitù.
Sta a noi metterci dentro un po' di
cervello e usarla con grano salis.
Non è difficile, non è impossibile.
Non è difficile, non è impossibile.
Tuttavia, come
sostiene un recente video di largo successo: “ho
442 amici, eppure sono solo; parlo con loro ogni giorno, ma nessuno mi conosce
davvero”.
Essere connessi ci dà l’illusione di
raccontarci, di esprimere chi siamo e i nostri sentimenti.
La verità, invece, è
che quella sensazione ci inchioda allo schermo, ma non ci fa rendere conto del nostro
reale isolamento, mentre siamo in compagnia di tanti amici e conoscenti.
“Da bambino non stavo mai in casa, stavo con gli amici,
sulla bici, avevamo buchi nelle scarpe, sbucciature sulle ginocchia. Ora i
parchi sono silenziosi.”
Nei giardini e nei cortili non ci sono più
bambini, non giocano, non corrono, non dondolano le altalene. Sono
tutti dentro casa, davanti al computer.
A confrontarsi con un mezzo che, se è
capace di condividere le emozioni, di sicuro non sarà mai in grado di produrle.
18 settembre 2014
Alfredo Laurano
Alfredo Laurano
Nessun commento:
Posta un commento