“Bella Italia, amate sponde, trema in petto e si confonde l’alma oppressa dal piacer”.
Se penso all'infinito patrimonio artistico e
culturale del nostro Paese.
All'incredibile bellezza dei suoi luoghi. Alle
tante sue antiche tradizioni ed al folclore.
Se penso alla città eterna, caput mundi, sua
capitale e capitale dell’Impero e della cristianità.
Alla Roma antica, con la sua grandezza, le
sue leggi, la sua letteratura. Con suoi
palazzi, i suoi vicoli, i suoi anfiteatri, le sue fontane, i suoi ponti e le
sue strade.
Alla Roma dei Cesari e dei Papi, dei sette Re
e dei sette colli.
Al suo fascino, alle sue credenze e storie
popolari intrise di magia.
Alla città fatata e senza tempo e piena di sorprese,
dove ogni angolo ha una storia da raccontare o nasconde un mistero o un tesoro
da scoprire.
Se la penso come culla di una grande e
potente civiltà, di cui ancor oggi possiamo ammirarne i resti e le
testimonianze, quasi immutate nel tempo.
O come un’infinita miniera di grazia e
meraviglia, uno straordinario museo, dove è passata l’arte, il mito e la leggenda,
lasciando tracce e segni indelebili che il mondo c’invidia.
Se penso che straripa di suggestioni e
incanto.
Se ricordo che la sua poesia e la sua
magnificenza, sono state cantate da Orazio (“Sole
divino possa tu non vedere nulla più grande di Roma”), da Virgilio e Tito
Livio.
Da Petrarca, da Goethe e da Stendhal. Da
Belli, da Trilussa e Pascarella.
Che il suo splendore, la sua intimità, le sue
contraddizioni e le sue mille facce hanno ispirato la Roma annoiata e stanca di
Moravia, o a quella ironicamente cinica e senza sconti di Flaiano, fino alle
borgate e al verismo del grande Pasolini.
Se penso, con orgoglio, che anch'io, nel mio infinitesimale piccolo, di tutto questo sono espressione e, in qualche modo,
pur come un invisibile granello di sabbia, ne faccio parte, mi appartiene e lo
respiro…
di fronte alle cronache e alla realtà che tutto ha svilito e degradato... mi prende la tristezza e la malinconia.
La rabbia e lo sconforto. Il disgusto e
la delusione.
E una irrefrenabile voglia di scappare e di mollare. Anche la più
semplice battaglia culturale.
Sento di aver fallito in tutto, di aver creduto
nei valori e studiato invano, di aver letto i libri sbagliati e che la Storia
mi ha ingannato.
E’ vero, ho il privilegio di essere nato e di
vivere in una città poliedrica, caratterizzata da molteplici connotazioni
identitarie.
Ci sono tante e diverse Roma da conoscere e da apprezzare, anche
sotto il profilo architettonico: quella imperiale, quella medievale,
rinascimentale, quella papalina, quella umbertina.
Di ognuna, si può disegnare un ritratto,
cogliere un’emozione, un aspetto che appartiene alla propria dimensione, all'esperienza e alla memoria e che s’incarna nel vissuto di ciascuno.
Ora, però, e purtroppo già da tempo, siamo
arrivati alla vera Roma ladrona, quella così definita - ahimè, senza esagerare
- dagli ex “puri” padani delle verdi valli, ormai abbondantemente inquinate anch'esse dal malcostume generale.
Da Roma capitale siamo diventati mafia
capitale. Il michelangiolesco cupolone ha emancipato la nuova camorra e la
cupola mafiosa.
Ma la corruzione e il malaffare ormai
dilagano in tutta Italia. Non è più un fenomeno sotto controllo: è diventato
endemico, una vera epidemia: l’Expo, il Mose le Regioni, ogni giorno uno
scandalo, una tangente, un assessore arrestato, un parlamentare indagato.
I fasciomafiosi, ma non solo, “se so’ magnati
Roma”, la politica, il Comune, le aziende municipalizzate, gli appalti e le
forniture, e anche gli odiati centri di accoglienza per immigrati e i campi
Rom. Hanno preso in ostaggio il Palazzo, comprando i politici, ognuno a libro
paga con specifiche tariffe.
“E’ la
teoria del mondo di mezzo, compà -
spiega il nuovo boss Carminati, intercettato, al suo compare, “ci sono i vivi sopra, i morti sotto e noi
in mezzo.
Tra il mondo di sopra (quello della politica) e quello di sotto
(quello della criminalità), c'è un mondo in cui tutti si incontrano, quello di
mezzo, dove è anche possibile che io mi trovi a cena con Berlusconi”.
Affaristi, faccendieri, alta finanza,
istituzioni, tutti a inseguire lo stesso obiettivo: la conquista del tesoro,
del bottino da spartire. Con la corruzione e, preferibilmente, non con la
violenza, perché la prima non fa rumore.
“Me li
sto a comprà tutti!” - dice ancora il boss, tra una mazzetta e l’altra, uno
degli attuali padroni della città, “i nuovi quattro re di Roma”, tutti briganti
e criminali.
E’ l’evoluzione, l’ammodernamento della banda
della Magliana, dove non è la mafia a cercare accordi con le istituzioni, ma è
la politica che si mette al servizio della criminalità.
A questo, i barbari del terzo millennio,
hanno ridotto la dissoluta Roma contemporanea.
A capitale della disonestà e dell’immoralità,
che scoppia di traffico e di zozzeria, che annaspa nel malessere sociale, nel
degrado delle periferie, nella discriminazione, nel disagio abitativo e nelle
contrapposizioni fra immigrati, zingari e locali.
Che si crogiola al sole
dell’impunità e affonda gli sporchi artigli nel potere del denaro e nello
schifoso mercato della droga. Che si compiace e si esalta nel marciume della
facile ricchezza.
E pensare che solo pochi giorni fa, qualcuno, in
evidente malafede, attaccava strumentalmente e a grandi titoli il povero
sindaco Marino per le quattro multe della sua panda rossa e per la
registrazione dei matrimoni gay.
All'estero, ormai, celebreranno e ammireranno
non più la Roma di Cesare, del papa, dell’arte e della matriciana, ma quella “del
mondo di mezzo”,
quella dei nuovi padrini capocosca, che si comprano pure il
profumo della sua storia e il Colosseo. Che schifo!
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