Mio padre amava tanto questa poesia, la rileggeva spesso e la citava in
ogni occasione perché la riteneva, come in effetti è, vera metafora della vita,
ma soprattutto della morte che, come una livella, non fa distinzioni sociali e tratta tutti, quando giunge l'ora,
allo stesso modo.
A spiegarlo, negli ultimi versi, è Esposito
Gennaro netturbino che, rivolgendosi al defunto ricco marchese irritato per la
eccessiva vicinanza delle loro tombe gli dice:
"...Suppuorteme vicino - che te 'mporta? Sti ppagliacciate 'e ffanno
sulo 'e vive: nuje simmo serie...appartenimmo à morte!".
Ciao Mamma, ciao Papà. Vi penso sempre e vi voglio bene.
2 novembre
2012
Alfredo
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