Ormai
ci siamo. Siamo all’ultimo atto (forse) della vicenda processuale sulla morte
di Marco Vannini.
Domani
7 febbraio, la Cassazione farà calare il sipario sulla storia giudiziaria del
giovane “ucciso per gioco o per sbaglio”
dalla famiglia della sua fidanzata, quasi cinque anni fa. Ma non su quella
umana e sentimentale che, comunque andrà, resterà qualcosa di assurdo, di
incredibile, di illogico e senza senso per la famiglia, per la comunità locale
e per un bel pezzo di italiani, stupefatti e attoniti.
Un
caso a dir poco atipico e, per certi versi, tragicamente comico e dai risvolti
più teatrali che reali, più strazianti che ordinari, nelle sue allucinanti e
improbabili dinamiche, nella sua angosciante sequenza spazio-temporale e nella
sua folle e dolorosa concretezza. Soprattutto, per i moltissimi aspetti colti, percepiti,
analizzati e raccontati, a volte anche in chiave ridicola e beffarda, in tutti
questi anni di udienze, testimonianze, reticenze, polemiche, minacce, sentenze,
menzogne e falsità.
Una
mirabolante commedia dell’assurdo, dai toni vagamente granguignoleschi e
macabri, da una parte, al limite del burlesco e del canzonatorio, dall'altra,
per i tanti spettatori non paganti, ma empaticamente partecipanti, a titolo
umanitario e solidale, che in tutto questo tempo hanno sostenuto quegli
sconvolti genitori, i familiari tutti, contro la grondante ferita della logica
e del buon senso.
Ma
sarà bene ricordare a tutti, soprattutto a chi si aspetta ulteriori condanne e
colpi di scena, che quest’ultimo grado di giudizio dovrà soltanto pronunciarsi
sui ricorsi presentati da Procura e Difesa contro la decisione di condannare
Antonio Ciontoli a 5 anni per omicidio colposo e a 3 anni la moglie Maria
Pezzillo e i figli Federico e Martina.
Perciò
la richiesta del procuratore è l'annullamento della sentenza e una
riformulazione del reato da omicidio colposo a volontario, con il rinvio a
un’altra sezione della Corte d’Assise d’Appello affinché sia riconosciuta la
responsabilità penale in relazione al delitto di omicidio volontario per tutti
gli imputati. In subordine chiede che vengano «disconosciute per il
capofamiglia le attenuanti generiche ovvero siano le stesse attenuanti
riconosciute subvalenti rispetto all’aggravante» contestata; per i familiari
che venga riconosciuta l’aggravante della colpa cosciente, del delitto di
omicidio colposo, come confermato dalla Corte.
Per
l’avvocato Celestino Gnazi (famiglia Vannini), i principi del dolo eventuale «sono stati mal applicati dalla sentenza di
secondo grado che, anche ricostruendo malamente il fatto, avrebbe dovuto
applicare i principi di diritto, emettendo dunque una sentenza «di omicidio
volontario per tutti».
Di
contro, la Difesa dei Ciontoli ha presentato ricorso per l'intera famiglia per
ridurre la pena: per Antonio Ciontoli chiede l'esclusione dell'aggravante della
colpa cosciente, mentre per la moglie e i due figli, la richiesta è la
riqualificazione del reato in favoreggiamento e, in subordine, in omissione di
soccorso.
Quindi,
domani, la Cassazione non entrerà nel merito dei fatti e di nuove testimonianze
e confidenze successive alle sentenze di primo e secondo grado (le
dichiarazioni della vicina di casa sulla presenza di Ciontoli padre e della sua
auto, o di Vannicola sul maresciallo Izzo, secondo il quale a sparare a Marco
non sarebbe stato il capofamiglia ma il figlio, Federico), ma deciderà
unicamente se rinviare tutto alla Corte d’Assise d’Appello (e rifare il
processo) o confermare le sentenze del secondo grado.
Alle
dieci, davanti al “teatro” del Palazzaccio a Roma, avrà luogo "Una
passeggiata per la Giustizia", una manifestazione silenziosa di tantissima
gente, che, senza bandiere e striscioni, attenderà il verdetto e darà forza e
solidarietà alla tenace famiglia Vannini, in un grido disperato di verità e
giustizia.
6
febbraio 2020 (Alfredo Laurano)
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