mercoledì 5 giugno 2013

AL 7 DI VIA PLINIO

Le fettuccine e le crostate, una volta, si facevano solo, o soprattutto, in casa. E ciò equivaleva a  dire, come ancor oggi si pensa e si dice, che erano buone e genuine. Anch’io, modestia a parte, "lo nacqui".Come quelle fettuccine sono nato in casa, con la levatrice e l’acqua calda, al sette di via Plinio, a Roma, quasi insieme alla Repubblica. E, con una veniale puntina di fierezza, mi piace pensarmi ancor così: casareccio e schietto, non contraffatto e non sofisticato.
Anche perché sono figlio di quell’epoca dove, per effetto della guerra e delle sofferenze appena passate, tutto era più facile e naturale. 
Ci si accontentava di poco e di quel poco, che sembrava tanto, si era felici e soddisfatti; le persone erano più vere, più aperte e più sincere.
Non si pretendeva l’impossibile, ma neanche il superfluo: Il vivo ricordo della fame, della paura e dell’orrore rendeva tutti più umani e solidali.
                                                                   
Al piano rialzato di quel palazzo – di fronte all’attuale Pizzeria S. Marco – mia madre (me lo  raccontava sempre)  mi teneva alla finestra a far la pappa sul seggiolone e a guardare il cortiletto e la gallina di “nonno Francesco”, il portiere dello stabile, che ogni mattina mi mandava l’uovo fresco, in un piccolo cestino tirato su con la cordicella….
Mi diceva pure, mia madre, che ero molto coccolato dagli altri inquilini, che mi chiamavano,  mi sorridevano e si complimentavano con lei. Ne andava fiera e si inorgogliva nella sua semplicità.

Mio padre, che il sabato sera, a volte, si concedeva il vizietto del biliardo nella sala di piazza Cola di Rienzo, la domenica mattina mi portava nella stessa piazza, a pochi passi da casa, a vedere e sentire la banda che suonava, sfilando per la via.
   

Negli anni successivi, cambiammo casa, pur restando in zona, nei pressi di Mazzini. Ma quel primo, modesto appartamento, quel quartiere, quella gente amica e quelle vie rimasero nel cuore mio e della mia famiglia. Ci tornavamo sempre. Per una passeggiata, per un gelato, per un supplì di Franchi o di Ottaviani.

Ma col tempo tutto cambiò. Anche la banda smise di suonare.
Dopo sposato, tornai a vivere in quel rione, a sei-settecento metri da via Plinio.


Negli anni sessanta e primi settanta, le strade intorno erano ancora belle, “sobrie”, come i negozi e le boutique di moda. Via Cola di Rienzo contendeva a via del Corso il ruolo di strada più importante ed elegante, dove passeggiare, fare acquisti, sedersi ai tavolini degli invitanti bar.
Il bellissimo negozio di Zingone, con le sue armoniche rampe di scale avvolgenti e la fontana in mezzo, rivaleggiava, per l’ambiente raffinato, con la Rinascente di Piazza Colonna. Quei magnifici locali di Zingone, poi, passarono alla Standa che, oltre ad offrire articoli di minor pregio, pensò bene di eliminare immediatamente la fontana per facilitare l’accesso ai piani superiori con una orribile scala mobile: l’era dei supermercati incombeva impaziente.

Meno curato negli spazi, ma pur sempre inserito in un edificio d’epoca vi era, e vi è tuttora, lungo la via, anche un mercato coperto, con altro ingresso sulla parallela Piazza dell’Unità, dove si poteva fare la spesa giornaliera.

Fiore all'occhiello della mondanità e del buon gusto fu senza dubbio il Caffè Latour, situato al 153 di quella via. Di proprietà dei fratelli Latour, originari dell'Alsazia-Lorena e discendenti di un generale di Napoleone, il locale aprì nel 1924. Era rinomato come sala da the, per l'alta pasticceria, per i suoi finissimi cioccolatini e per l’arredo estremamente ricercato dei suoi interni - raffinati specchi, soffitti a cassettoni, bancone in pregiato mogano - che mantenne immutati fino alla chiusura, che avvenne nel 1972.
Rimase aperto ancora per molti anni il Bar Pignotti-Pellacchia, un po’ più avanti, assai famoso per l’eccellente panna e per i gelati, ma meno accurato nello stile. Oggi, c’è una gioielleria.

L’odore di confetti che coglieva appena imboccata la traversa di via Properzio proveniva da un seminterrato dove operava una delle più antiche e rinomate fabbriche dolciarie di Roma. Attraverso le grate imbiancate di zucchero, si intravedevano le grandi coppe di rame in cui si rigiravano le mandorle per ammantarsi del loro rivestimento candido e dolce. Nel negozio, che si apriva sempre su via Cola di Rienzo, intere generazioni di romani hanno comprato confetti e bomboniere per matrimoni, battesimi e comunioni. Ora, quel famoso Loreti e il laboratorio nato nel quartiere non esistono più. C’è il solito, inflazionato abbigliamento.

Quella strada era anche la via dei cinema: l’Eden, ancora esistente, il Cola di Rienzo, diventato sala Bingo, l’antico Palestrina e lo Smeraldo, trasformati in esercizi commerciali e il famoso Teatro Principe, all’incrocio con via Properzio dove, per un certo periodo, si fece anche l’avanspettacolo con i comici, l’orchestrina e le succinte ballerine casarecce.
In precedenza, con un altro nome - forse Teatro Umberto - aveva avuto in cartellone anche la rivista classica di illustri artisti, come Totò, Rascel, Macario e Delia Scala. Ho un pallido ricordo di “Attanasio, cavallo vanesio!”

In zona, vi erano tante altre sale perché il cinema, ai tempi, era passione e divertimento per molta gente, soprattutto nel fine settimana.
A piazza Cavour, l’elegante Adriano, con loggette a balconcino, che nel giugno del 1965 ospitò i Beatles in due storici concerti, è oggi multisala. L’attiguo Ariston, incorporato, l’Ottaviano, che divenne Upim, poi supermercato e oggi banca, il Giulio Cesare e il Doria trasformati in multisala. Il piccolo d’essai  Scipioni, diventato Azzurro con Silvano Agosti.

Oltre l’asse che, partendo dal Palazzaccio che domina la grande Piazza Cavour - completamente trasformata dopo anni di interminabili lavori, con nuovi giardini, aree pedonali e parcheggi interrati - porta, in un lungo rettilineo, a Delle Vittorie, c’era l’omonimo cinema (ci vidi con mio padre “Gli ammutinati del Bounty e Il Giorno più lungo-Lo sbarco in Normandia”,  nel 1962) che fu acquistato proprio in quegli anni dalla Rai per diventare il teatro del varietà televisivo: Studio Uno, Rischiatutto, Canzonissima, Fantastico… Un po’ più avanti, c’era il cinema Mazzini.

Torniamo in Prati.

Tra gli esercizi storici, non si può dimenticare il gran bar-sala biliardo sulla piazza che ricordavo prima, cara al giovane mio padre, il bagno diurno di Cobianchi, la vicina libreria Gremese, la piccola, ma squisita pasticceria Calligari, la super-drogheria Castroni, sempre più internazionale e, all’angolo della rosticceria Franchi, la mitica birreria Peroni dove si consumavano le fumanti prelibatezze appena acquistate nei cartocci.

Alle pareti decorate, fra i disegni e le cornici si leggeva: “chi beve birra, campa cent’anni” e sui semplici tavolini in legno arrivava infatti birra e gazzosa, a battezzare supllì, pizzette e calzoni che scottavano il palato…. Una autentica, indimenticabile goduria! Che anche adesso sento in bocca!

Era un percorso obbligato e conseguente a cui per anni e anni non mi son sottratto - prima, da ragazzo, con i miei genitori, poi con le mie figlie - che ancor oggi assai rimpiango e ricordo con infinita nostalgia. 

Luoghi, sapori, odori e colori legati all’infanzia e alla mia giovinezza. Scolpiti a fatica nel cuore, ma via via incalzati dal tempo che cinico scorre.
Tutto cambia e tutto si trasforma: il corpo, il pensiero, le cose e i sentimenti. E la percezione di ciò che ci è intorno. 
Quelle tracce di storia, quelle orme di passato, pur forti e vibranti, lasciano spazio senza alcun entusiasmo a un mondo mutato. All’astio e al livore. A un diverso quartiere, sommerso dal traffico e senza calore. Che non ha più profumi, né fatate atmosfere.

Solo tanto rumore, distacco e freddezza. Chiunque e ogni cosa è avulsa da ogni contesto.
Resta però una propria, sfarzosa ricchezza: la magia dei ricordi di una vita serena e tranquilla, fra giochi ed affetti, tra amicizie e passioni, fra strade pulite e alberate, tra edifici umbertini, fontane e deliziosi villini.
Forse era quella e in quegli anni la mia “Dolce Vita”.
4 giugno 2013                                                                                   AlfredoLaurano


                                                                                                   
                                                                                                                                                                                              

Nessun commento:

Posta un commento