E’ incredibile il potere suadente e accattivante
della Comunicazione e della relativa capacità di scavare e penetrare nella testa
e nelle abitudini delle persone che, più o meno consapevolmente, sono portate
ad assorbire messaggi, idee, opinioni, suggerimenti e notizie che, di fatto,
orientano e indirizzano.
Nel processo di comunicazione globale - che si
avvale di sofisticati modelli di trasmissione, di vari canali, di specifici
contesti, di contenuti e destinatari - tutto si trasforma, si rielabora e si
riduce a prodotto di consumo, non solo fisico e materiale.
Politica, etica, scienza, economia e sentimenti
finiscono in un grande calderone promozionale e diventano anche, all’occorenza,
un gigantesco spot dello spettacolo del dolore, che genera empatia e suscita
profonda partecipazione all’immaginario collettivo.
Oggi, per esempio, onoriamo ufficialmente i
nostri defunti, parenti, amici, pezzi importanti e significativi della nostra
vita, ma molti ricordano, con altrettanta e spontanea condivisione, anche altri
scomparsi sconosciuti, con nomi, cognomi, sembianze e soprannomi, come se
appartenessero alla propria genealogia.
Di essi si sa tutto e di più: storia,
vita, infanzia, amori, passioni, virtù, difetti, manie e preferenze.
Sono le tante vittime, raccontate con dovizia di
particolari dalla cronaca quotidiana, dei più eclatanti casi di omicidio e di
violenza, che stampa, web, TV e opinionisti vari hanno convertito in icone
popolari: da Marco Vannini a Luca Varani, da Sara Scazzi a Lorys e Yara
Gambirasio, da Roberta Ragusa a Elena Ceste e Melania Rea, da Isabella Noventa
a Teresa e Trifone.
“Tutti
angeli che porto nel cuore, con amore - scrive qualcuno sui social - anzi, aggiungete i nomi di chi ho dimenticato…”
Sono come i personaggi di un epico romanzo che
appassiona e che divide, come gli interpreti di una lunga, infinita soap, che
si amano o si odiano, con cui si entra in confidenza tutti i giorni e che
diventano amici o persone di famiglia.
E’ del tutto legittima questa celebrazione
annessa, questa naturale commemorazione, a latere, indotta dalla profonda
suggestione mediatica che, inevitabilmente, contagia, coinvolge, catechizza e
induce a un’intima adesione affettiva.
Nel contempo, però, è anche un altro esempio
della globalità dei sentimenti, alquanto artificiali all’origine, e delle
percezioni psico-sensoriali preconfezionate dal sistema informativo.
Lo stesso pathos e lo stesso afflato
esistenziale non si producono, infatti, verso le infinite vittime di stragi e
di calamità, che non hanno la stessa ribalta, gli stessi riflettori e gli
stessi onori della cronaca.
Per loro non si prega, non si fanno gruppi e
battaglie, non si relizza alcuna forma di ammirazione ed esclusivo fanatismo, di adorazione quasi feticistica,
di religiosità primitiva, a carattere magico o animistico. Basta sfogliare
qualche pagina del web, per trovare santini, stelline, lucette intermittenti,
fotomontaggi, immaginette sacre e animazioni e per rendersene conto.
Per tutte quelle altre vittime, anonime e
distanti, resta scarso l’interesse e l’emotività, molto contenuto e rarefatto il
coinvolgimento personale e collettivo.
Forse, perché non portano business e risorse
pubblicitarie e non compaiono in scaletta e nei titoli di coda.
Mi sembra tutto un po’ paradossale.
2 novembre 2016 (Alfredo Laurano)
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