Al Bar Centrale si prende il miglior caffè
della città di mare che da 14 anni mi ospita, soprattutto nel periodo
estivo.
Per tre o quattro anni ci sono stato fisso, anche nel freddo inverno, ed ho goduto la pace e i ritmi lenti, o per meglio dire umani, che questo luogo semplice e popolare sa ben dosare e offrire a tutti: a residenti, villeggianti, a gente di passaggio.
Per tre o quattro anni ci sono stato fisso, anche nel freddo inverno, ed ho goduto la pace e i ritmi lenti, o per meglio dire umani, che questo luogo semplice e popolare sa ben dosare e offrire a tutti: a residenti, villeggianti, a gente di passaggio.
E dire che, da quando
degustai il primo caffè di Pietro - presentatomi da un agente immobiliare da
cui poi comprammo casa – gli abitanti di Ladispoli e le automobili sono più che raddoppiati
e la città è cresciuta in opere, traffico e servizi, con i problemi che ogni
sviluppo e cambiamento si porta inevitabilmente appresso.
Ma resta pur sempre il salutare microclima,
l’aria “bbona”, la sabbia nera - ormai ridotta a causa dell’erosione - la sagra
del carciofo e il fascino del mare, su cui la sera affonda lenta la rossa palla di fuoco. Sullo sfondo i
ruderi dell’antica Torre Flavia e la relativa palude - area
protetta - che offre rifugio e alimentazione a numerose specie di
uccelli, soprattutto durante la stagione migratoria.
Al mattino presto, l’ora migliore per fare
colazione seduti ai tavolini sul viale, arrivano via via clienti ed avventori.
Tutti si conoscono e per tutti, tra un maritozzo e un cappuccino, c’è una
battuta, un commento e l’ironia di
Pietro, sempre pungente e di buon umore.
Al primo tavolo, fuori, da sempre sosta il
gruppetto dei fans di “Libero”, del “Giornale” e del Cavaliere. Sei, sette
persone che commentano in scioltezza i fatti della politica, con decisa
preferenza al gossip e alla denigrazione fisica dell’avversario. Slogan
pesanti, pregiudizi velenosi e affermazioni piuttosto qualunquiste si incalzano
tra loro. Sono pensionati, lavoratori locali e autonomi che, più che dalla
crisi del Paese, sembrano preoccupati e presi dalle vicende del Silvio
nazionale, vittima degli aguzzini magistrati, ma grande e ammirato,
sciupafemmine.
L’unico che si distingue, pur partecipando
con lucida freddezza al chiacchiericcio, è il buon Britannico, noto marmista
della zona.
Dopo aver letto in macchina il giornale,
sorseggia al banco il suo succo di frutta, esce con il cornetto in mano e, in
men che non si dica, lo stormo di piccioni, appollaiati sui cornicioni del palazzo
di fronte, si alza in volo, lo raggiunge e lo circonda. E lui, come San
Francesco, distribuisce i dolci bocconcini di quel cornetto, comprato apposta e
fatto a pezzettini. Così ogni mattina.
Amabile persona, di bell’aspetto, 83 anni
ben portati, e di grande sensibilità. Appassionato cinefilo e instancabile
viaggiatore, conosce bene il suo mestiere ed è esperto estimatore di pietre e
marmi pregiati. E’ attento alle cronache politiche e sportive e segue il mondo
con la viva curiosità di un ragazzino.
Ci si parla volentieri, soprattutto di
cinema, di luoghi e di attualità, quando non è punzecchiato, con sarcasmo
malizioso e un po’ volgare, dal gruppo fascio-reazionario per il suo noto
antiberlusconismo. Senza scomporsi, con graffiante ironia e con arguzia canzonatoria,
lui risponde a tutti per le rime, mettendo in ridicolo lazzi e facezie di quei
critici da bar.
Spesso, si aggiunge qualcun altro a dir la
sua, ad attaccarlo o a sostenere le sue ragioni.
Alle sette e mezzo del mattino, davanti al
bar ed ai piccioni, si discute, si litiga, si cazzeggia e ci si becca, come in parlamento. Ma senza risse, senza
offese personali e senza parolacce.
Fino a quando arrivano i due, tre operai
indiani del buon imprenditore - Britannico, dal nome del fratello di Nerone e
non dall’aggettivo - che salgono nella sua Delta blu e insieme vanno a tuffarsi
nelle polveri dei marmi del lavoro quotidiano.
Sulla passerella del bar Centrale sfila una
grossa e variegata fetta di umanità, di ogni forma e colore, accomunata da quel
senso di amicizia e di spontaneità che la grande città non conosce più, se non
nei piccoli quartieri.
Ognuno è a proprio agio e come a casa sua.
Entra, esce, si racconta e partecipa ai racconti altrui. Per tutti un sorriso,
una parola, una pacca sulle spalle e una ritrovata disponibilità, anche ad
ascoltare. Pezzetti di vita condivisi con disinvoltura in quel teatrino
popolare, profumato di caffè.
In qualche momento, sembrano rivivere
l’atmosfera scanzonata, le espressioni genuine e la vivacità dei film del
grande Sordi o di Verdone.
A.Magnani e R. Rossellini alla Trattoria di Federici a Ladispoli |
La piazza del paese era
un'immensa arena bruciata dal sole e battuta dai venti, una non piazza in
realtà, un semplice spazio per permettere al cielo di giocare con la terra...”.
Oggi, la piazza più importante del ”paese”
è a lui intitolata e riporta, scolpita a terra, la sua dichiarazione d’amore.
12 luglio 2013 (Alfredo Laurano)
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