Per ricordare l’orrore
dell’olocausto, ieri sera Raitre ha mandato in onda “Vento di primavera”, il
cui titolo originale, “La rafle” (retata, rastrellamento) è ben più concreto e
pregnante di quello italiano, piuttosto banale, che si riferisce al nome
dell'operazione.
Come ogni film sulla Shoah, è
un pugno nello stomaco, una sofferenza minuto per minuto. Si parte dal punto di
vista dei bambini e della quotidianità familiare di una serena Montmartre, dove
vivono molte famiglie ebree, per raccontare lo stupro civile e sociale
perpetrato dai militari francesi collaborazionisti e da quelli tedeschi.
La
Francia è sotto l'occupazione. Gli ebrei vengono prima costretti a portare la
stella gialla, poi sono allontanati da ogni luogo pubblico, dal loro impiego,
dalle scuole.
Nella notte tra il 15 e il 16 Luglio, oltre 13.000 ebrei, di cui 4.000 bambini, vengono arrestati e radunati nello stadio del velodromo d’inverno, il Vel d’Hiv di Parigi, poi spostati in altri campi di transito e infine mandati a morire nei campi di sterminio di Auschwitz.
Il film racconta una delle pagine più vergognose e terribili della storia francese, dove tutti i personaggi sono realmente esistiti e tutti gli avvenimenti, anche i più drammatici, sono realmente accaduti nell’estate del 1942.
Nella notte tra il 15 e il 16 Luglio, oltre 13.000 ebrei, di cui 4.000 bambini, vengono arrestati e radunati nello stadio del velodromo d’inverno, il Vel d’Hiv di Parigi, poi spostati in altri campi di transito e infine mandati a morire nei campi di sterminio di Auschwitz.
Il film racconta una delle pagine più vergognose e terribili della storia francese, dove tutti i personaggi sono realmente esistiti e tutti gli avvenimenti, anche i più drammatici, sono realmente accaduti nell’estate del 1942.
Sarà che con l’età ci si emoziona più
facilmente e ci si commuove davanti al sorriso di un bambino, allo sguardo
languido di un cane o a una vecchia foto dei bei tempi andati! Sarà che la
sensibilità, più o meno innata o acquisita nel tempo, incalza e rimuove il
cinismo giovanile. Sarà che l’esperienza, la saggezza e il disincanto inducono
a una maggiore comprensione degli altri, alla tolleranza e a una più forte solidarietà. Sarà il crescente bisogno di
partecipazione per non sentirsi esclusi, soli e abbandonati. O sarà l’ansia
della vita e la paura di lasciarla…!
Comunque la mettiamo, basta poco a
creare un turbamento, a far bagnare gli occhi. In certi casi, poi, il pathos è
ancor più giustificato.
In questi giorni, in occasione della
giornata della memoria, ho rivisto o ricordato alcuni grandi film come
Schindler’s List, come Train de vie, come Fuga da Sobibor o Vento di primavera,
senza dimenticare La vita è bella di Benigni.
La tensione, lo schiaffo lancinante, il
disgusto sono stati ancora e sempre atroci e dirompenti, come la cattiveria di
chi, abusando della forza e del potere, distrugge sentimenti, sogni e dignità,
strappa i figli alle proprie madri e si arroga il diritto di decidere come e
quando toglier la vita a milioni di persone, a bambini innocenti ed indifesi.
La rappresentazione del male, della
violenza, della crudeltà, della ferocia è molto spesso più efficace, più acuta,
straziante e sconvolgente della stessa realtà che icasticamente racconta, che
descrive o raffigura.
Nel
cinema, la cui forza evocativa è ancora straordinaria, la narrazione attraverso
immagini, suoni, montaggio e inquadrature suscita potenti emozioni e coinvolge,
in un tutt’uno, la mente e tutti i sensi di chi guarda. Fino a svolgere, come il teatro, anche un
effetto catartico, determinato da un rapporto osmotico di proiezione, di
identificazione e di profonda empatia. Questa
spontanea capacità di compartecipazione, di condivisione degli stati d’animo,
di immedesimazione in persone e situazioni, fino a coglierne reazioni e
sofferenza, crea un forte dolore dello spirito e, nel mio caso (ma non solo),
anche del corpo e dei neuroni.
Di
fronte a tanto orrore e brutalità, sento salire, progressivamente, un furore e
una rabbia repressa che si trasformano subito in autentico malessere fisico:
affanno, fitte, batticuore, alterazione e irrequietezza. Sento nascere
l’angoscia, la pena e una voglia irrefrenabile di fare qualcosa, di menar le
mani, di intervenire, di proteggere, di salvare, di cancellare quel tormento,
di uccidere il mostro criminale. È un impulso che scuote forte la coscienza e
porta a rispondere con violenza alla violenza cieca, a reagire con la forza in
quello scenario brutale e sanguinoso che annuncia al mondo la tragedia
dell’umanità stuprata.
Questa conflittualità rimette in
discussione le ragioni della civile convivenza, dei principi del pacifismo e
della non violenza, del rispetto della vita di chiunque, fino a giustificare,
per ineluttabile necessità, una reazione giusta di legittima difesa dei popoli
e della libertà contro l’atrocità di ogni forma di nazifascismo, di barbarie,
di totalitarismo, di ogni guerra o
genocidio, di ogni crimine contro l’umanità.
Del resto, anche Gandhi affermò che
“uccidere può essere un dovere…!
30 gennaio 2013 AlfredoLaurano
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