Io ho già fatto. Anche stavolta
l’ho fatto. Come tantissime altre volte, l’ho fatto. Come sempre, di buon
mattino, quando l’aria è ancora fresca e la città della domenica è ancora pigra
e mezza addormentata. Ancora una volta son ritornato a scuola, senza grembiule,
merenda e cartella, ma con qualche annetto sulle spalle e con la tessera elettorale in tasca, “strettamente personale e che costituisce titolo per l’esercizio del
voto” e che sancisce il mio diritto.
Quanti timbri ho accumulato, quante
schede colorate con la matita copiativa ho crocifisso, quante speranze nel
tempo ho coltivato!
Politiche, Regionali, Comunali,
Europee, Referendum…non ne ho mai saltata una! Ogni volta con piacere, con
fiducia e con la bella sensazione,
uscito dalla cabina, di aver fatto il
mio dovere.
Penso a chi lo fa oggi per la prima
volta, a diciottanni.
L’adolescente che diventa adulto. Il cittadino che acquisisce la possibilità di
dire la sua, di scegliere, di votare, anche nel dubbio o nella voluta, scarsa informazione.
Anche se non sempre o non del tutto consapevole. Anche se svogliato,
arrabbiato, deluso, confuso o distratto dagli interessi più pressanti del
momento giovanile: musica, amori e telefonini.
Ricordo la mia prima volta. Un po’
come il primo bacio, il primo amore, il primo esame, anche se allora era tutto
diverso.
Un miscuglio di pensieri e
sensazioni, di ansia e batticuore agitava la mia mente e generava una forte, inedita
emozione per quel nuovo esame di maturità, per quel battesimo politico “alla
fonte della storia”: il vestito adeguato all’occasione, l’orgoglio di sentirsi
adulti e di contare come i “grandi”, la possibilità di decidere, influire e
pesare come gli altri, con un segno di croce sulla scheda, la gioia di compiere
un atto di grande responsabilità e la
certezza di avere ormai il potere di esprimere una opinione vera e di pretenderne il rispetto.
Cantava il grande Gaber: “mi danno in mano un paio di schede e una
bellissima matita lunga, sottile, marroncina perfettamente temperata e vado
verso la cabina volutamente disinvolto per non tradire le emozioni”….
E mentre me ne tornavo a casa,
incrociando in via Ottaviano migliaia di fedeli e pellegrini che, sparati a
raffica dalla metropolitana, raggiungevano S. Pietro per l’ultimo Angelus del
Papa dimissionario, riflettevo su quanto deve essere stato importante per i
nostri nonni e genitori il primo voto per le donne o decidere fra monarchia e
repubblica, dopo la tragedia del fascismo e della guerra:
“Arrivavano ai seggi con il
vestito buono della festa, con i bambini in braccio, con il fazzoletto sui
capelli. Emozionate, come si conviene per un appuntamento importante”.
E pensavo pure a quanta gente ha
combattuto e si è sacrificata per conquistare questo sacrosanto diritto di libertà
che spesso, con superficialità e con una certa supponenza, sottovalutiamo e non
consideriamo come grande, irrinunciabile valore. O al quale, addirittura, a
volte, scioccamente rinunciamo.
Astenersi vuol dire sempre perdere.
Arrendersi senza nemmeno giocare e rinunciare ancor prima di cominciare. Altri,
comunque, decideranno per noi.
E anche perché votare è bello e ci
fa sentire bene. Perché è l’unico modo
che ci fa contare, valere, partecipare e incidere sulle scelte della
collettività. Perché ci dice e ci ricorda che abbiamo la fortuna di godere di un bene prezioso che va sempre difeso,
proprio perché molti non possono averlo: perché non conoscono la pace, la democrazia o vivono la guerra, l’abuso e la
violenza
.
Votare è bello ma è un privilegio
non scontato.
Per questo è un atto di coscienza che
non va mai sprecato.
24 febbraio 2013
AlfredoLaurano
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