Sarà che con l’età ci si emoziona
più facilmente e ci si commuove davanti al sorriso di un bambino, allo sguardo
languido di un cane o a una vecchia foto dei bei tempi andati!
Sarà che la
sensibilità, più o meno innata o acquisita nel tempo, incalza e rimuove il
cinismo giovanile.
Sarà che l’esperienza, la saggezza e il disincanto inducono
a una maggiore comprensione degli altri, alla tolleranza e a una più forte solidarietà.
Sarà il crescente bisogno di
partecipazione per non sentirsi esclusi, soli e abbandonati. O sarà l’ansia
della vita e la paura di lasciarla…!
Comunque la mettiamo, basta poco a
creare un turbamento, a far bagnare gli occhi. In certi casi, poi, il pathos è
ancor più giustificato.
Ci sono dei film che, per genere e
significato, hanno in me un violento impatto rabbioso, la cui reazione stento a
trattenere. Sono quelli che raccontano la vergogna dell’umanità: l’orrore
dell’olocausto, delle persecuzioni razziali, delle deportazioni e dello
sterminio, ad opera delle belve naziste.
In questi giorni, in occasione
della giornata della memoria, ho rivisto o ricordato alcuni grandi film come
Schindler’s List, come Train de vie, come Fuga da Sobibor o Vento di primavera,
senza dimenticare La vita è bella di Benigni.
La tensione, lo schiaffo lancinante,
il disgusto sono stati ancora e sempre atroci e dirompenti, come la cattiveria di chi, abusando della
forza e del potere, distrugge sentimenti, sogni e dignità, strappa i figli alle
proprie madri e si arroga il diritto di decidere come e quando toglier la vita a
milioni di persone, a bambini innocenti ed indifesi.
La rappresentazione del male, della violenza, della crudeltà, della
ferocia è molto spesso più efficace, più acuta, straziante e sconvolgente della stessa realtà
che icasticamente racconta, che descrive o raffigura.
Di fronte a tanto orrore e
brutalità, sento salire, progressivamente,
un furore e una rabbia repressa che si trasformano subito in autentico malessere
fisico: affanno, fitte, batticuore, alterazione e irrequietezza. Sento nascere
l’angoscia, la pena e una voglia irrefrenabile di fare qualcosa, di menar le
mani, di intervenire, di proteggere, di salvare, di cancellare quel tormento, di
uccidere il mostro criminale. È un impulso che scuote forte la coscienza e
porta a rispondere con violenza alla violenza cieca, a reagire con la forza in
quello scenario brutale e sanguinoso che
annuncia al mondo la tragedia dell’umanità stuprata.
Questa conflittualità rimette in discussione le ragioni della civile
convivenza, dei principi del pacifismo e della non violenza, del rispetto della
vita di chiunque, fino a giustificare, per ineluttabile necessità, una reazione
giusta di legittima difesa dei popoli e della libertà contro l’atrocità di ogni
forma di nazifascismo, di barbarie, di ogni totalitarismo, di ogni guerra o genocidio, di ogni crimine contro
l’umanità.
Del resto, anche Gandhi affermò che “uccidere può essere un dovere…!
30 gennaio 2013
AlfredoLaurano
Nessun commento:
Posta un commento