Ebbene
si, sono stato veramente ingenuo a pensare, insieme a tantissimi altri però,
che Silvio, prima o poi, avrebbe abbandonato l’arena di Santoro. Avevo scritto:
“…ferito nell'orgoglio e nel carisma, s'alzerà e se ne andrà....da martire, da
vittima e da eterno perseguitato!” Si sono fatte migliaia di scommesse sulla
stampa e nell’opinione pubblica sul come e sul quando ciò sarebbe avvenuto.
Ma
abbiamo sbagliato tutti perché non abbiamo semplicemente considerato che non
sarebbe convenuto a nessuno: a Santoro in termini di audience e nel goloso ruolo
super partes e garantista e di affidabilità democratica; a Berlusconi per dar
prova di rinnovato vigore, presenza e ritrovato
coraggio nella pericolosa disfida, in campo avverso.
E
così si sono reciprocamente contenuti e autolimitati, evitando eccessi,
polemiche sterili e intollerabili provocazioni.
Non
se ne è andato per niente, anzi, dopo un inizio prudente e guardingo - fase di
studio dell’ambiente e dell’avversario - un po’ teso e accigliato nei tratti
del viso, ha ostentato via via sicurezza e disinvoltura, fino ad essere a suo
agio e a conquistare abilmente la scena, con l’accorto e dosato uso dei
sorrisi, delle battute, della mimica facciale.
Da
consumato attore e grande comunicatore ha addirittura ribaltato i ruoli quando
- a scopo di vendetta e di sputtanamento - ha occupato la postazione di
Travaglio. Da eterno imputato, si è trasformato in accusatore-pubblico
ministero, elencando in una letterina preparata dal suo staff e con non poca
faccia tosta, le numerose condanne per diffamazione a carico del “provocatore
professionista” Travaglio che, su di lui e grazie a lui, ha scritto una Summa
sistematica e completa. Sanzioni rivelate e snocciolate come se scaturissero da
gravissimi reati penali: omicidi, rapine, stragi, mafia. Ma, per il grande
pubblico, secondo le sue convinzioni, ciò non fa la differenza e infanga a
sufficienza l’avversario. Metodi che ben conosciamo (Boffo docet).
Presa
la scena con fare sornione e furbesco, il confronto politico è diventato uno
show nel quale il rivitalizzato cavaliere ha condotto le danze, districandosi
in slalom tra insinuazioni e domande imbarazzanti e recitando il solito
spartito del paese ingovernabile, delle riforme che non mi hanno lasciato fare,
dell’Imu che non ho potuto evitare, dell’assoluta mancanza di colpe e responsabilità.
Evitando accuratamente di parlare della crisi, delle misure da adottare, della
crescente povertà, della sofferenza delle famiglie e dei disagi dei lavoratori
e di quelli che - delusi e incazzati - non lo voteranno più.
Eppure,
il povero “diffamatore”, pur con toni più misurati, non sprezzanti e caustici
come al solito, ci aveva provato a recapitare al presidente un bel ritratto,
puntuale e documentato come sempre, di impresentabili “amici di famiglia” come Previti,
Dell’Utri, Squillante, Tarantini, Lavitola, Lele Mora, Ruby, Minetti, Cuffaro e
tanti altri, senza peraltro entrare nel gossip, negli scandali, nelle attività
ricreative del bunga-bunga, ormai dimenticato, e nel merito dei processi e
delle prescrizioni. Una lunga serie di personaggi ambigui, indagati o
condannati che da sempre orbitano intorno a lui.
Sfortunato
nelle amicizie? Porta sfiga ai suoi amici? O certe figure discutibili le attira
come carta moschicida perché gli somigliano?
La
vera e unica risposta è stata
l’inelegante gesto di Berlusconi di pulire e sventolare la sedia su cui era stato
provvisoriamente seduto Marco Travaglio.
Comunque,
nel tanto atteso gioco del conflitto televisivo, che ha avuto nove milioni di
spettatori, ha prevalso il cavaliere con le sue macchiette. O, quanto meno, se
l’è cavata bene nell’arena dello storico nemico.
Mai
così in palla e lucido, né incerto e titubante come in moltissime esibizioni
precedenti, pur giocate in casa o in campo neutro: da Vespa alla D’Urso, da
Raiuno a Canale 5, da Giletti alla Gruber. Va anche detto e riconosciuto che
non ha usato i consueti trucchetti demagogici, né esagerato con le citazioni strappacuore
di famiglia o di bottega, con i soliti slogan lisi e consunti e il drammatico
repertorio di barzellette che propina ai suoi cortigiani. Si è adeguato
all’ambiente, a quel tipo di pubblico, “informato e intelligente”, che non lo
ama certo e lo deride, ed è perfino, a tratti, apparso quasi serio, credibile e
in buona fede.
Tutto
ben dosato e in equilibrio come mai, preparato e studiato con cura a tavolino
da un’equipe di esperti e da strateghi.
Diciamo
pure che è stato molto agevolato da quanto chiaramente concordato su regole,
argomenti e colpi bassi, prima della trasmissione.
Mai
incalzato più di tanto dalla Innocenzi e dalla Costamagna, anch’esse molto miti
e contenute nell’aggressività verbale - forse per ordini di scuderia - anche
Santoro, per apparire più imparziale di un codice di legge o dell’estrazione
della lotteria, gli ha dato una buona mano, senza metterlo mai in vera
difficoltà con i tempi e le interruzioni. Nessun monologo consentito e molta
ironia nelle domande per stemperare il clima da battaglia.
Accondiscendente
e bendisposto ha accettato il gioco delle parti, i siparietti del teatrino, lo
scambio vivace di battute, allusioni e sottintesi.
Salvo
irrigidirsi e inalberarsi per il rosario denigratorio sgranato e recitato come
un mantra, con tutta la cattiveria e il disprezzo possibili, da Silvio contro
Travaglio e predisposto dai suoi scriba a libro paga.
Più
che un talk show politico, è stata una serata di spettacolo, la vivace rappresentazione
di una commedia all’italiana che si poteva intuire già dall’editoriale del
padrone di casa, pronunciato nell’anteprima, fra le note di Granada:
“…Non
assisterete a una corrida, non vedrete Granada, città dei toreri, ma una piazza,
un confronto che 100.000 persone hanno creato per tutti… anche per Berlusconi….
Perché chist'è
'o paese d' 'o sole, 'o paese d' 'o mare, 'o paese addó tutt' 'e pparole,
so' doce o so' amare, ma so' sempe parole d'ammore! “
so' doce o so' amare, ma so' sempe parole d'ammore! “
11 gennaio 2013
AlfredoLaurano
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