Siamo in piena campagna elettorale.
O, meglio, lo sono partiti, movimenti, liste improvvisate, candidati,
portaborse e galoppini, sostenuti e guidati da carismatici guru del marketing e
da carestosi maghi della comunicazione. Che analizzano linguaggi e
comportamenti, disegnano strategie e studiano sottili tecniche di persuasione e
propaganda per catturare quelli (tanti) della nutrita fronda di agnostici e
indecisi. Che commissionano sondaggi tutti i giorni, prima e dopo ogni promessa,
ogni starnuto qualunquista o trovata populista acchiappa voti.
I pretendenti al seggio in
parlamento - come prescritto da questi epistemologi del voto sui prontuari e
vademecum del bravo candidato - si accusano e si insultano a vicenda nelle
piazze mediatiche, si sfidano sul Web e in noiose risse televisive tra
presentabili e impresentabili, tra imputati
e condannati, tra facce vecchie, facce nuove e facce fatte fuori e
scandidate, per le supreme ragioni di
partito.
Poi, c’è chi fugge con le liste,
chi giura vendetta e minaccia rappresaglie, chi sputtana, chi rinnega, chi
tradisce, chi si vende sottobanco. Come prima e come sempre: il solito mercato
delle vacche, l’antica fiera delle falsità e dell’ipocrisia.
A questo hanno di fatto ridotto la
politica: da nobile arte di governare la società per il bene di tutti, a
sfrenata rincorsa per conquistare, esercitare e mantenere il potere a tutti i
costi. Ovviamente, “nell’interesse del popolo italiano!”
Da qui, nasce e prolifera l’antipolitica:
un diffuso sentimento di avversione dei comuni cittadini nei confronti delle
bassezze e dei troppi privilegi della classe “onorevole” (corruzione, sprechi,
stipendi e vitalizi, auto blu e infinite gratuità assicurative, sanitarie e di
servizi). Un rancore e un dissenso contro il sistema che conduce all’astensionismo
elettorale, alla delegittimazione della totale classe politica e al crescente successo dei movimenti di
protesta e neopopulisti che cavalcano l’onda dell’indignazione popolare e
accentuano il senso di estraneità e di rifiuto della politica tradizionale.
Tale ostilità nei confronti dei partiti iniziò a diffondersi all’epoca di
“mani pulite”, più di vent’anni fa, fino a dilagare in breve tempo nell’ assoluto
disprezzo per la “casta” e nello schifo profondo per la politica come
professione. Il forte disgusto, oggi, è ancor più amplificato da alcune evidenti e innegabili ragioni:
-le continue ruberie, gli abusi, la
corruzione e la sottrazione di denaro pubblico;
-la crisi economica e quindi del
lavoro, dei salari, del welfare e dei consumi;
-la disoccupazione, lo sfruttamento,
la precarietà e il potere d’acquisto dimezzato;
-l’insopportabile tassazione che
spreme imprese e cittadini, ma non colpisce speculatori, evasori e patrimoni occulti.
-l’aumento delle disuguaglianze e
la mancata redistribuzione del reddito;
-le politiche di austerità e
rigore che minano alla base ogni possibilità di crescita e ripresa.
La gente è ormai esasperata e
gonfia di furore. Incalza l’odio sociale e incombe una rinnovata lotta di
classe, ma non solo di quella proletaria di una volta.
Aumenta sempre più il divario tra
ricchi e poveri e la ricchezza si
concentra in nelle mani fortunate di pochi eletti per casato o per lignaggio, o
di avventurieri, senza scrupoli e bandiere, con residenza all’estero e capitali
protetti in felici paradisi fiscali.
Per tutti gli altri sulla barricata,
non coperti e garantiti, la disoccupazione spinge alla fuga o a soluzioni ancor
più estreme; le piccole imprese chiudono ogni giorno soffocate dai debiti e da
banche che non danno credito, le famiglie quasi rinunciano a mangiare, le
pensioni sono bloccate e non si adeguano al costo della vita, il ceto medio
scivola progressivamente verso la nuova povertà.
E i partiti cosa fanno?
Fanno la campagna elettorale! E
come tutte le campagne di guerra provocano “morti e feriti”, dispersi e disertori ma,
soprattutto, comportano un indecente spreco di denaro pubblico e di
finanziamenti equivoci o assai sospetti.
Milioni e milioni di euro buttati e
sperperati dalla stragrande maggioranza dei contendenti alla poltrona che, per
farsi votare, promettono l’abolizione dell’Imu, la riduzione delle tasse, una soluzione
per gli esodati, l’ennesima riforma delle pensioni, nel disinteresse totale ai reali
problemi del paese.
In questi giorni di chiacchiere, di
numeri e promesse seducenti, fra le tante storie di ordinaria indigenza che raccontano
di persone alla continua caccia di sconti, che comprano il pane del giorno
prima e prodotti in scadenza a metà
prezzo, che dividono la casa, le spese e le bollette o di laureati che fanno il
cameriere nei pub a 400 euro al mese, due vicende mi hanno particolarmente colpito.
Nel self-service di un ipermercato
di Mestre, un distinto signore ha atteso che una famiglia finisse di pranzare
per avvicinarsi, sedersi a quello stesso tavolo e mangiare gli avanzi dei
piatti nei vassoi.
A Roma, da diversi mesi, davanti al
Verano, alcuni cittadini vivono nelle roulotte, con assoluta discrezione. La
mattina vanno al lavoro. La sera si rintanano lì, al freddo, a custodire la propria
dignità. Usano i bagni del cimitero, l'acqua delle fontanelle, silenziosi e
abbandonati. Sperano di non essere riconosciuti.
Hanno uno stipendio o una pensione,
ma non bastano per pagare una casa.
Due soli tristi esempi, fra i tantissimi
che ognuno può testimoniare, di situazioni vergognose sotto gli occhi di tutti,
ma che nessuno nota più, o vede con distacco e indifferenza. A cominciare dalle
istituzioni, assenti e prese dai giochi di potere.
Ci stiamo abituando al peggio nel
paese degli scandali, degli sprechi, dei privilegi e della corruzione. Ma miseria,
precarietà, insicurezza, rabbia, disagio e delusione in qualche mare dovranno
pur sfociare!
L'assalto ai forni di memoria manzoniana?
Siamo tornati poveri, dicono i dati
Istat. Ma non ancora di mente.
Ricordiamolo quando andiamo a
votare.
26 gennaio 2013
AlfredoLaurano
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